Il lutto e i nostri fantasmi.

Che sia morte lenta e sofferente o improvvisa e accidentale, perdere qualcuno che si ama è sempre estremamente doloroso. Si ha la lacerante sensazione che una mano sconosciuta, invadente e gelida abbia penetrato con forza il nostro ventre e ci abbia strappato via una sostanziosa parte di noi. Ci si ritrova con il respiro lento e faticoso, la sensazione di essere svuotati di quella vitalità ed energia che prima faceva sentire sulla pelle il calore del sole. Diventa freddo tutto ciò che ci circonda, privo di senso, ricoperto da uno strato di nebbia che invade il cuore e appanna ogni aspetto di ciò che rimane. Spesso lo si chiama vuoto, assenza o semplicemente lutto, lo si indossa di nero perché i colori stancano, lo si celebra dannandosi l’anima, lo si continua a vivere attaccandosi morbosamente a chi è altrove, a chi manca addosso, a chi è morto. Ci si ostina a ripensare ai momenti passati insieme, tra chiacchiere e litigi; si ricercano le parole, le carezze, gli oggetti e le usanze del defunto; si piange ininterrottamente per l’impossibile desiderio di ritorno a noi. Si alternano stati d’animo confusi in cui rabbia, dolore, senso di colpa e angoscia si esprimono nei rimpianti, nelle parole non dette, nelle passeggiate mancate, negli abbracci non dati per un orgoglio che ora non serve più.
A Ghost Story© (2017). Scritto e diretto da David Lowery. Prodotto da Sailor Bear, Zero Trans Fat Productions e Ideaman Studios.
Quanto più restiamo attaccati con le unghie e con i denti alla persona morta, tanto più incastriamo noi stessi e l’anima di chi ci ha lasciato. Galleggiamo su acqua stagnante con la pretesa che il tempo faccia un salto indietro, ingabbiando lo spirito di chi vorrebbe poter andare in una dimensione che non è questa. Siamo portati a creare continuamente fantasmi bloccati in una terra di mezzo che non li lascia liberi di andare.
Cosa vuol dire elaborare un lutto? Vuol dire affrontarlo? Superarlo? Andare avanti? Dimenticare? Smetterla di piangere e fingere che non sia successo? No, no e ancora no. Elaborare un lutto significa accettarlo. Accettare che si sia verificato, che il padre o la madre, il figlio, il fratello o la sorella, l’amico di una vita, il proprio animale di casa, abbia terminato la sua esistenza su questa Terra, in questo Universo. Significa essere grati di quanto abbiamo vissuto attraverso chi non c’è più e di quanto possiamo ancora portare dentro di noi in forma diversa. Significa, più di qualunque altra cosa, lasciar andare, mollare la presa e liberare noi stessi e lo spirito del defunto.
Non è un processo facile o meccanico e richiede pazienza e tempo. Il lutto rappresenta un problema quando la sofferenza legata ad esso si protrae per lunghissimi periodi, quando la vita non riprende il suo corso e la persona resta ferma nel tempo e luogo in cui è accaduto. Delle volte il lutto si manifesta come forma di disagio in modi più nascosti e celati; in questo caso il dolore interiore può esprimersi nel corpo attraverso i sintomi, nelle relazioni o nel lavoro tramite un cambiamento nel modo di comportarsi.
Quando la perdita di chi ci sta a cuore supera il dolore che decidiamo di concederci, è il momento di intervenire affidandosi ad un professionista. La psicoterapia permetterà di avvicinarsi al vuoto interiore, di elaborare creativamente il lutto, di riconoscere ciò che è stato e di uscirne con la gioia e la gratitudine nel cuore.
“I can’t go on and keep on keep on
crying inside and blame destiny.
But I need to know that you’ll come back to me, back to me
And you’ll come back to me, in my arms.”
“Io non posso andare avanti e continuare, continuare
a piangere dentro e incolpare il destino.
Ma io ho bisogno di sapere che tu tornerai da me, tornerai da me
E tu tornerai da me, tra le mie braccia.”
Elisa – Yashal.
.