Capacità perduta, capacità ritrovata

Quando ci accade qualcosa di inaspettato che porta alla malattia di una persona cara o alla compromissione della nostra stessa salute fisica, la prima grande reazione è di disperazione e rabbia.
Proviamo a immaginare cosa accadrebbe se ci ritrovassimo improvvisamente senza più la possibilità di vedere; il senso della vista è completamente annullato ed è tutto buio intorno a noi. Cominciamo a fare delle verifiche, magari tenendo gli occhi chiusi per un po’ per farli riposare oppure mettendo del collirio per idratarli; strizziamo gli occhi, apriamo e chiudiamo compulsivamente le palpebre e le strofiniamo con le mani. Il risultato è sempre lo stesso: vediamo nero e basta, nessun ombra, nessuna sagoma, nessun colore. Non è possibile! Come è potuto succedere? Di fatto sta succedendo e suscita in noi panico e un milione di domande. Ci raccontiamo di averli sforzati troppo, di non aver indossato abbastanza gli occhiali, di aver portato per troppe ore le lenti a contatto. Siamo alla ricerca di motivazioni che spieghino la causa e al tempo stesso fungano da obiettivo su cui intervenire; quindi, per esempio, se la causa sono state le lenti a contatto, la logica vuole che se smetto di metterle, tornerò a vederci bene.
Sound of Metal© (2019). Diretto da Darius Marder. Scritto da Darius Marder, Abraham Marder e Derek Cianfrance. Distribuito da Amazon Studios.
Siamo assolutamente certi che si tratti di qualcosa di temporaneo, che la vista tornerà presto e faremo di tutto affinché questo si verifichi. Di conseguenza, ci attiviamo subito e prenotiamo una visita urgente dall’oculista di fiducia, cercando di camuffare al mondo la nostra inabilità. Ci troviamo, però, costretti a doverlo raccontare alle persone a noi più vicine, che non possono non rendersi conto che camminiamo senza vedere un bel niente. Abbiamo bisogno di essere accompagnati e sentiamo vergogna, impotenza e frustrazione con la testa piena di pensieri che si accavallano e creano frastuono. La verità è che non sappiamo cosa pensare, cosa credere, cosa provare. Non abbiamo nessuna idea del perché stia succedendo e perché proprio adesso, proprio a noi; è impensabile e inaccettabile anche solo l’ipotesi di una vita senza vista dopo che gli occhi hanno funzionato per anni; in fin dei conti non siamo nati ciechi e quindi perché mai dovremmo diventarlo proprio ora? Non ha senso, è ridicolo!
L’esito della visita è chiaro: siamo diventati non vedenti e non possiamo farci niente; la nostra unica speranza è un impianto chirurgico di recente invenzione che avvolge il nervo ottico e che permette di recuperare totalmente la vista. Non possiamo aspettare, dobbiamo raccogliere tutte le informazioni necessarie e tutti i soldi che occorrono per fare l’operazione che ci farà tornare “normali”. Finalmente ricominciamo a respirare, vediamo una luce in fondo al tunnel, una via di uscita da questa situazione fastidiosa; possiamo eliminare quanto prima questo scherzo della natura e far sì che il nostro corpo ricominci a funzionare “come Dio comanda”. Che sensazione meravigliosa!
Nel frattempo, in attesa della possibilità di sottoporci all’intervento, curiosiamo qua e là sui metodi, strategie e linguaggi del mondo dei ciechi. Impariamo a capire come muoverci nell’ambiente senza poter vedere gli ostacoli, come leggere con il solo uso del tatto; impariamo a sentire di più gli altri sensi e a godere del ricordo delle immagini che abbiamo dentro. Ricordiamo i colori dei fiori quando ne sentiamo il profumo, la luce di una giornata di sole quando ne percepiamo il calore, lo sguardo del nostro gatto quando gli accarezziamo il pelo; ricordiamo i nostri lineamenti quando ci accarezziamo il viso. Proprio mentre impariamo a godere di questo nuovo stato delle cose, è in attesa dietro le quinte l’aspettativa di un intervento che ci restituirà la vista esattamente come era prima. O almeno così crediamo. L’illusione si rivelerà delusione quando ci renderemo conto, purtroppo, che l’impianto ci permette di vedere ma non come ci sarebbe piaciuto: i colori sono sfocati e si mescolano tra di loro, le figure hanno bordi indefiniti, i volti si mostrano annebbiati; il caos di una vista meccanica che fa venire il volta stomaco. La verità è che ci siamo fatti tante domande nessuna delle quali è stata davvero utile alla nostra sopravvivenza. Forse avremmo dovuto chiederci: “perché l’Universo mi sta togliendo la vista? Cosa vuole insegnarmi? Dove e come vuole che io veda?”
Forse ho visto troppo o troppo poco; magari ho sempre guardato nella direzione sbagliata; forse è arrivato il momento di guardarmi dentro, di sentirmi di più, di fermarmi nella quiete interiore di immagini impresse nella mente; posso imparare a stare con quello che c’è, con quello che ho. Ci ostiniamo a cercare sempre di mettere a posto le cose che si rompono, soprattutto quando hanno a che fare con il nostro corpo. Siamo così intenti ad aggiustare, sistemare e controllare che perdiamo di vista quello che stiamo diventando, il cambiamento che si sta verificando. Sentiamo il corpo solo quando si ammala, ci dedichiamo a noi stessi solo quando abbiamo fastidi, sintomi e dolori. Ci ricordiamo della bellezza delle sensazioni solo quando cominciano a funzionare male. La tenacia e la determinazione nel voler uscire da una malattia, da una mancanza e da una perdita, è sinonimo di forza, di energia e di positività; quando questo correre, però, diventa ossessione, quando la vita comincia a girare sempre e solo intorno allo stesso punto, vuol dire che ci siamo già persi. Delle volte è necessario lasciare che le cose vadano per il loro corso, che il fiume scorra seguendo la corrente. Quando lasciamo che così sia, il corpo si alleggerisce, la mente si schiarisce e la pace arriva al cuore.
“La depressione poi l’ira
Mi rivolsi ad uno specialista
Che mi disse c’è una sola cura
Come prima cosa nella lista
Parla con l’orecchio, chiedi scusa.”
Larsen – Caparezza